La gestione dell’alimentazione è spesso un vero e proprio campanello d’allarme, uno specchio senza distorsioni di un’esigenza evidente.
Un rapporto errato con il cibo è alla base di molti disturbi psicologici ben definiti, ma è evidente come nella maggior parte dei casi di mancanza di armonia alimentare non è diagnosticabile alcun disturbo.
Sappiamo inoltre che le cause che portano un individuo a relazionarsi in maniera erronea con l’alimentazione sono molte e probabilmente non riusciremo mai a raggiungere una “teoria del tutto” in questo campo.
Ogni individuo deve essere aiutato nella sua particolare condizione.
Non posso però tralasciare quello che traspare dalla pratica clinica quotidiana, dallo scambio dialettico che avviene tra dietista e paziente.
Una buona percentuale di individui comunica la difficoltà temporale e gestionale nei confronti delle scelte alimentari. Non è certo un mistero il fatto di essere immersi in un ambiente obesogeno, non solo per quanto riguarda l’introduzione dei nutrienti e delle calorie giornaliere.
Il telos stesso dell’esistenza sembra sia diventato il riempirci.
Riempirci di informazioni, riempirci di serie tv, riempirci di impegni.
Non deve esserci un attimo per lasciare vagare la mente.
Il tanto amato “otium” latino è stato anzi ormai colorato con tinte grigie e sinistre. Guai a rimanere qualche secondo soli con sé stessi.
Ora, in questo contesto, si sente spesso ripetuta come un mantra una frase completamente fuori da ogni logica.
Non ho tempo per mangiare
In fondo suona un po’ come “non ho tempo per vivere”, eppure risulta del tutto comprensibile.
Spesso mi chiedo se madre natura ci abbia fornito di un sistema autonomo per respirare per evitare che qualcuno, per mancanza di tempo, si dimenticasse di farlo.

Inoltre la conseguenza diretta di una simile asserzione dovrebbe essere la riduzione dell’introito di cibo.
Perché si manifesta il contrario?
Le ragioni sono diverse.
La più importante la ritroviamo nella frase stessa. Non a caso viene utilizzata la parola “mangiare” o “mangiare bene”.
Il tempo che non c’è (o che non vogliamo trovare) è proprio quello per mangiare, mentre di tempo per “riempirsi” spesso se ne trova a sufficienza.
Abbiamo visto come il pasto sia un momento importante e come troppo spesso sottovalutiamo anche la sua struttura formale.
Mangiare seduti ad un tavolo percependo i sapori che danzano sulle nostre papille gustative, lentamente, non è come mangiare velocemente mentre si lavora al computer.
Non è la stessa cosa né dal punto di vista fisiologico, né da quello psicologico (sempre che esista veramente questo dualismo).
Non è tutto, abbiamo anche visto come la scelta di alimenti ad alta densità calorica comporti delle evidenti conseguenze.
Abbiamo trasformato un momento essenziale della nostra vita in un’altra delle tante attività quotidiane.
Abbiamo fatto in modo che non più la fame, ma la frustrazione divenisse il quid che ci spinge alla ricerca del cibo.
Una volta che l’equilibrio viene perso non è facile tornare indietro.
Nel meccanismo infernale, in questa raffinata trappola siamo riusciti ad inserire il concetto di dieta e a distorcerlo completamente.
La dieta diventa un altro impegno quotidiano, un’altra fonte di frustrazione, un altro vampiro del nostro prezioso tempo.
Come è possibile uscire dalla giostra?
Sacrificando.
Sacrificare significa rendere sacro.
Dobbiamo ripartire da questo. Dobbiamo capire cosa sacrificare, per cosa rendere sacro il tempo nella nostra vita.
Finché continueremo a non avere delle priorità, fin quando saremo convinti che fare di più sia fondamentale, fin quanto saremo disposti a sprecare il nostro tempo fino al rinunciare al nostro diritto di stare bene, di godere del cibo, di lasciare correre la mente libera e continueremo a “riempirci “di ogni cosa per distrarci dalla sofferenza che proviamo nessuna dieta potrà risolvere il nostro problema.
Magari lo farà per qualche tempo.
Come del ghiaccio su una mano ustionata che non abbiamo il coraggio di togliere dal fuoco.