Utilizzare un regime alimentare molto drastico, come terapia nutrizionale, è molto rischioso nella maggior parte dei casi.
Esistono delle condizioni patologiche che impongono una forte restrizione calorica, ma il periodo di somministrazione è sempre limitato al minimo indispensabile.
Molti professionisti trascurano però il rischio dell’utilizzo di regimi estremamente sbilanciati per apporto calorico, distribuzione dei nutrienti e/o timing in una particolare fetta di popolazione.
I disturbi del comportamento alimentare (DCA) sono una grande categoria di atteggiamenti, più o meno patologici, che si manifestano a livello del rapporto del cibo.
Sono molto più diffusi di quanto si pensi e non sempre facilmente riconoscibili. La maggior parte dei casi non arriva mai ad una diagnosi effettiva da parte del medico e da altra parte, per fortuna, quasi sempre un certo equilibrio intrinseco del paziente previene le conseguenze più nefaste.
Questo non significa che il paziente non soffra della situazione e soprattutto evidenzia uno stato di precarietà che può da un momento all’altro evolvere in una situazione peggiore.
L’ ortoressia, ad esempio, può essere solo attenzione particolare alla salute o il preambolo di un disturbo più complesso come quello dell’anoressia.
Psichiatri e psicologi possono intervenire in maniera efficace per tamponare e insegnare un sistema di controllo ai pazienti in questione.

Questo fa comprendere come difficilmente il cattivo rapporto del cibo trovi causa nell’alimentazione stessa. L’eziologia multifattoriale trova radici in contesti molto più profondi.
Un nutrizionista quindi non dovrebbe mai occuparsi in maniera esclusiva di un paziente DCA, perché nel migliore dei casi la sua strategia andrebbe semplicemente a scalfire la superficie, lasciando i tizzoni ardenti sotto la cenere pronti a riaccendere la fiamma da un momento all’altro.
Non solo. L’utilizzo di regimi alimentari errati può contribuire alla radicalizzazione del disturbo o addirittura attivare dei trigger in persone semplicemente predisposte.
La prudenza dovrebbe sempre guidare qualsiasi scelta terapeutica, perché a volte le conseguenze possono essere peggiori della situazione inziale che si prova a risolvere.
È quindi sempre utile instaurare un protocollo terapeutico basato principalmente sull’ educazione nutrizionale delle linee guida, che veda nel trattamento dietetico speciale solo un’alternativa sporadica e adatta alla specifica situazione.
Pensiamo ad esempio quanto possa essere dannoso per un paziente bulimico ricevere come approccio terapeutico il digiuno intermittente che di fatto va a fossilizzare il suo comportamento erroneo già presente.
Il professionista che trascura i danni che la sua terapia può portare è un professionista pericoloso.
La situazione si fa ancora più drammatica se questi “consigli” sono distribuiti attraverso i social dove molto più alta è la possibilità di colpire persone ad alta suscettibilità.
Impegno comune deve essere dispiegato per contrastare questa deriva molto rischiosa.
La nutrizione nasconde un potere non indifferente sulla vita delle persone.
Non possiamo far finta di non avere questa responsabilità.