La dieta chetogenica negli ultimi anni ha avuto una vera e propria esplosione. Ormai ne parlano tutti: dalla signora che ha bisogno di perdere qualche kg all’atleta appassionato di bodybuilding.
Cerchiamo di capire di cosa si tratta analizzandone i punti principali.
Sulla scia di molte altre diete “low carb”, in questo tipo di alimentazione vengono ridotti drasticamente i carboidrati a favore dei lipidi, aumentando di molto la percentuale delle calorie totali dovute a quest’ultimo macronutriente. Per precisione ci si riferisce a diete “low – carb” quando i carboidrati si aggirano sui 50 – 150 g/die, per quanto riguarda la chetogenica invece si parla di valori <50g/die. Questo è molto importante per il processo di raggiungimento della chetosi, come vedremo a breve.
Parlando di composizione dietetica, la dieta chetogenica standard è organizzata in questo modo:
- Carboidrati: 5 – 10% (sotto i 50g)
- Proteine: 10 – 20%
- Lipidi: 70 – 80%
Esistono poi delle varianti che prevedono il “refeed” di carboidrati (ovvero il reinserimento di questo nutriente) in giorni particolari della settimana, durante l’allenamento e infine diete chetogeniche che comprendono maggiori quote proteiche. In questo articolo parleremo della versione standard, in quanto le varianti non sempre portano agli stessi risultati e perché in letteratura la maggior parte degli studi sono stati portati avanti con la composizione di cui sopra.

COME FUNZIONA
Per capire come funziona il meccanismo alla base della dieta chetogenica dobbiamo sapere innanzitutto che il nostro organismo utilizza come fonte principale di energia il glucosio. Le nostre cellule sfruttano questa sostanza per ottenere ATP (la molecola energetica) attraverso la glicolisi.
Tutto quanto si basa sullo switch nel consumo di molecole energetiche, privando cioè l’organismo dei carboidrati (e quindi di glucosio) e iniziando a produrre i corpi chetonici.
Da dove prendiamo questi corpi chetonici?
In condizioni di digiuno prolungato o di scarsi livelli di carboidrati le riserve adipose iniziano ad essere intaccate. Questo fa sì che aumenti il rilascio di acidi grassi liberi (FFA, free fatty acids) da parte degli adipociti che, arrivati nel fegato, vengono convertiti in corpi chetonici.
Per questo è fondamentale che i livelli di carboidrati siano molto bassi come dicevamo poco fa, altrimenti sopra una certa quota questo processo “non è presente” o comunque non è degno di nota.
In realtà il nostro organismo ha diversi sistemi che entrano in gioco quando viene privato delle sue fonti energetiche. Come vediamo dall’immagine qui sotto, dopo aver consumato l’ultima cosa che abbiamo mangiato, entra in gioco prima la glicogenolisi (meccanismo che sfrutta le nostre riserve glucidiche) e poi la gluconeogenesi (processo con cui otteniamo glucosio a partire da sostanze non glucidiche, come lattato, glicerolo e amminoacidi). La gluconeogenesi può andare avanti per molto tempo, tuttavia l’organismo tende a adattarsi, di conseguenza questo processo subisce un calo dopo qualche giorno al fine di preservare la massa magra. A questo punto iniziano ad essere intaccate le scorte del tessuto adiposo.
Dopo qualche giorno, alla gluconeogenesi si sovrappone quindi la chetogenesi.

Mano mano che la chetosi inizia, il corpo si adatta ai livelli minori di glucosio e quindi ad esserne meno “dipendente”: il cervello che normalmente utilizza glucosio come fonte energetica principale inizia a sfruttare anche i corpi chetonici.
L’utilizzo di queste sostanze a scopo energetico è una situazione “nuova” per le cellule e questo potrebbe portare ad eventuali benefici.
Una volta che questi iniziano ad essere prodotti con costanza i relativi livelli ematici aumentano: abbiamo raggiunto la chetosi.
I CORPI CHETONICI
Come abbiamo visto i corpi chetonici vengono prodotti a livello epatico. Questi sono essenzialmente tre: l’acetoacetato (AcAc), il beta idrossibutirrato (BHB) e l’acetone. Il BHB è quello rappresentato maggiormente. L’acetone è presente in minori quantità ed è escreto tramite le urine e l’alito, non è raro infatti accorgersi di avere un alito diverso dal solito durante questa dieta.
La chetosi è definita quando i livelli ematici di chetoni (BHB) sono sopra 0.5 mmol/L, livelli ottimali nel sangue durante questa dieta sono compresi tra 1,5 e 3 mmol/L.
Qui è normale chiedersi: possono essere rischiosi questi livelli di chetoni nel sangue?
La risposta è no. In condizioni fisiologiche il nostro corpo riesce a gestire tranquillamente queste sostanze. Diversamente, in alcuni casi di diabete scompensato in cui i livelli ormonali non sono regolati adeguatamente si può assistere ad un eccesso di chetoni nel sangue e, di conseguenza, a chetoacidosi diabetica, condizione potenzialmente fatale che richiede l’intervento medico.
DIETA CHETOGENICA: EFFETTI
Uno degli usi più comuni della dieta chetogenica è nei confronti dell’epilessia. A questo scopo ci sono alcuni risultati che dimostrano riduzione degli attacchi epilettici in caso di inefficacia del trattamento o come coadiuvante. Tuttavia sono necessari ulteriori studi per avere evidenze di maggiore qualità.
Un altro effetto molto conosciuto e studiato è l’aumento della sazietà. Un ruolo in questo senso è da attribuire alla quota proteica prevista nella dieta (un maggiore apporto proteico aumenta infatti il senso di sazietà) insieme chiaramente ai lipidi, presenti in concentrazioni elevate. Il corretto mix tra moderato apporto proteico e grassi previsto dalla dieta chetogenica è alla base di tutto ciò, rendendo difficile inoltre riuscire a mangiare in eccesso rispetto al proprio fabbisogno (meccanismo su cui si basano molte diete “parenti” della chetogenica). Non sempre però questo effetto è verificabile, dipende molto da soggetto a soggetto.
Negli ultimi mesi sono diventati famosi anche i "chetoni esogeni", degli integratori che in teoria dovrebbero replicarne gli effetti. Di questi ne abbiamo parlato qui.
DIETA CHETOGENICA E DIMAGRIMENTO
Veniamo alla domanda delle domande. La dieta chetogenica ha dei vantaggi effettivi in termini di perdita di peso rispetto ad altri tipi di alimentazione?
Diversi studi e metanalisi recentemente hanno affrontato questo argomento. Tutti sono arrivati alla stessa conclusione e cioè che non ci sono differenze significative in termini di perdita di peso.
Quando l’apporto calorico e proteico è correttamente modulato, la proporzione dei grassi e dei carboidrati non ha molta influenza sulla perdita di peso. Motivo per cui tra una low fat e una low carb non ci sono perdite di peso molto differenti.
Questo per dire che alla fine dei conti è l’apporto calorico ad influire maggiormente.
Alcuni studi evidenziano inoltre che possono esserci delle variazioni per quanto riguarda il quadro lipidico (dieta low fat > riduzione LDL-C; dieta low carb > aumento LDL-C, aumento HDL-C, riduzione TG). Di conseguenza, gli effetti sui lipidi e la preferenza individuale sono due ottimi aspetti da analizzare prima di iniziare un intervento dietetico di questo tipo.

CONCLUSIONI
Siamo giunti quindi alle conclusioni.
A differenza di molte altre diete, la ricerca ha evidenziato qualche effetto interessante per questo protocollo dietetico. Tuttavia, ad oggi le evidenze sottolineano come siano pochi i motivi per preferirlo ad una normale dieta ipocalorica bilanciata.
Ovviamente qualche punto debole è presente, tra questi ricordiamo ad esempio che:
- La restrizione dei carboidrati in un primo momento può portare a spossatezza, fatica, irritabilità, confusione: non a caso nel primo periodo di “adattamento” si parla di “keto flu” sottolineando la presenza di sintomi simil influenzali
- Limitazione della componente edonica: limitare i carboidrati porta a ridurre ovviamente il consumo di cibi molto palatabili
- Alterazione della tolleranza al glucosio: effetto temporaneo indotto dal consumo limitato di carboidrati
- Stipsi: dovuta alla riduzione del contenuto di alimenti ricchi in fibra
Il consiglio è quello di farsi seguire da professionisti molto preparati in materia se si vuole portare avanti questa dieta: il rischio di fare errori (e danni) è molto alto. Non è un tipo di alimentazione che può essere lasciata al caso: la dieta chetogenica ha una sua preparazione, una sua durata e una sua fase di transizione prima di tornare a mangiare normalmente, bypassare queste fasi significa farsi del male (senza troppi giri di parole).
Infine, torniamo nuovamente a sottolineare come gli effetti positivi di molte diete derivano sostanzialmente dalla perdita di peso indotta, più che dalla composizione. Questo non vuol dire che quello che mangiamo sia meno importante di quanto ma che ci sono modi diversi per perdere peso: trovare la strada più equilibrata e sostenibile per noi alla fine sarà la chiave di tutto.
RIFERIMENTI
- Martin‐McGill KJ, Jackson CF, Bresnahan R, Levy RG, Cooper PN. Ketogenic diets for drug‐resistant epilepsy. Cochrane Database of Systematic Reviews 2018, Issue 11. Art. No.: CD001903.
- Gardner CD, Trepanowski JF, Del Gobbo LC et al. Effect of Low-Fat vs Low-Carbohydrate Diet on 12-Month Weight Loss in Overweight Adults and the Association With Genotype Pattern or Insulin Secretion: The DIETFITS Randomized Clinical Trial. JAMA. 2018 Feb 20;319(7):667-679
- Naude, Celeste E et al. “Low carbohydrate versus isoenergetic balanced diets for reducing weight and cardiovascular risk: a systematic review and meta-analysis.” PloS one vol. 9,7 e100652. 9 Jul. 2014
- https://www.hsph.harvard.edu/nutritionsource/healthy-weight/diet-reviews/ketogenic-diet/